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Milano Design Week: se le installazioni potessero parlare

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La Milano Design Week 2023 è stata un’occasione per tornare alla normalità con un tocco di magia. Colori, forme e profumi in mezzo a un bagno di folla. Ma fra la marea di persone, c’erano tante storie da ascoltare e raccontare.

Tornare a Milano dopo le festività pasquali e trovarsi lanciati in mezzo ad un bagno di folla (oltre che di pioggia) è stato, come direbbe T. S. Eliot, un “[destare] radici sopite con pioggia di primavera.” Quasi uno shock dopo i retaggi ancora vicini della desolazione pandemica. Le strade del centro erano impossibili da percorrere in automobile, e anche a piedi si poneva il serio rischio di scontrarsi con i passanti. Questi ultimi, d’altronde, sembravano provenire da ogni parte del globo: in pochi metri di marciapiede si sentivano parlare lingue di tutti i continenti. Ogni qualche portone campeggiava in rosso la scritta “Design Week” con un altro spazio da esplorare, conoscere, magari apprezzare. In alcuni di questi spazi, la fila era abbastanza lunga da far desistere, e chiedersi: se il design è unicità, innovazione, personalizzazione, può essere realmente ‘di massa’? La Design Week è in questo senso epitomo del mondo ‘global’, dove è tutto connesso, istantaneamente, e alla portata di tutti (o quasi). Tuttavia, a volte nascosto negli angoli dei cortili, c’è un aspetto della Design Week che va perso nella fretta e i clacson: ci sono storie da raccontare e, soprattutto, da ascoltare, che riportano ad una dimensione più intima e personale in questo mondo iperconnesso. 

Un esempio è la One To One (OTO) chair disegnata da Alessandro Stabile e lo studio Martinelli di Venezia. Era osservabile nello spazio Alcova all’Ex Macello di Milano, in zona Porta Vittoria. L’imprinting made in Italy è sorprendente viste le sembianze scandinave di questa sedia, di per sé abbastanza banale, che potrebbe, come scherzavano i presenti, essere uscita da un negozio IKEA. Ma proprio in questa apparente banalità, per i curiosi e pazienti, si cela la storia di un prodotto che ha richiesto anni di lavoro e un pizzico di azzardo. La OTO chair è realizzata interamente in plastica riciclata; non in parte, ma interamente. Infatti, molte sedie sono realizzate con plastiche riciclate, ma hanno quasi sempre dei componenti, come delle viti, che non lo sono. In questo caso, un lungo lavoro ibrido di ingegneria e design ha permesso di creare un prodotto montabile che non ha bisogno di materiali aggiuntivi non riciclati. La qualità però non ne risente: le OTO chair sopravvivono a stress test con decine di migliaia di cicli di utilizzo. Se questo non fosse sufficiente, anche il packaging della sedia è innovativo e consente uno stoccaggio in spazi limitatissimi. Come spiegano allo stand, è fondamentale pensare anche alla logistica se si vuole essere realmente innovativi: gran parte delle emissioni avvengono non solo nella produzione ma anche nel trasporto. Questo rende la OTO chair un prodotto con una visione completa. 

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In un’altra zona della città, nel retro di una splendida chiesa protestante, veniva raccontata un’altra storia molto personale. Questa volta, però, non di design scandinavi, ma di luce e colori del Mediterraneo. Infatti, Carola Altamura è una designer milanese con radici pugliesi, che permeano in maniera inequivocabile il suo lavoro. L’esposizione nel quartiere di Brera per la Milano Design Week è stato infatti un trionfo di colori e profumi che portavano alla mente alberi, fiori e mare. Dopo aver iniziato nel 2015 con il restauro di alcuni trulli di famiglia, la designer ha proseguito il suo contatto con il territorio creando un marchio di profumi e candele che richiamino le sue terre di origine. Come ulteriore omaggio ‘tacco dello stivale’, i portacandela sono realizzati a forma di trullo, con schizzi di vernice che, come fa notare Carola, rendono impossibile avere due candele identiche. Infatti, ancora più che esaltare il made in Italy, l’idea di Carola è quella di raccontare una terra, o meglio una valle: la splendida valle d’Itria. 

A volte anche una grande multinazionale può raccontare una storia: Veuve Cliquot, uno dei maggiori produttori di champagne al mondo, ha voluto omaggiare l’imbottigliamento della nuova annata de La Grande Dame con una collaborazione speciale. La celebre artista Paola Paronetto è infatti stata chiamata per dare una sua interpretazione a questo vino così speciale, creando sei astucci diversi per avvolgere la bottiglia. La palette di colori, morbida ma allo stesso tempo impattante, richiama le nuance della regione francese in cui viene prodotto il vino: azzurro cielo, verde foresta, blu oltremare. I coffret ricordano le ceramiche dell’artista e rispecchiano la filosofia di un oggetto con valenza estetica e funzionale.

Allargando il focus ancora di più, ben lontano dal contesto nostrano, è comunque possibile trovare un filo conduttore che riporti ad una dimensione intima e particolare. L’esposizione di Solid Nature, “Beyond the Surface”, è un tributo unico alla terra, nella sua forma più grezza, primordiale e spesso sottovalutata: quella di roccia. Infatti, il sottotitolo dell’esposizione è proprio “A Journey of Stone and Human Nature.” Organizzata in collaborazione con studi e artisti di varie parti del mondo, questa installazione racconta la roccia nel suo processo di vita che, inevitabilmente, si interseca con quello delle persone. I visitatori vengono condotti sottoterra per iniziare un percorso di esperienza diviso in stanze molto diverse fra loro, senza tuttavia perdere la coerenza di insieme. Il Leitmotiv di questi spazi, a cui viene associato un nome o un aggettivo, è proprio l’esperienza che unisce la pietra e l’uomo. Per esempio, alla seconda stanza è accostata la parola “pressure.” La pressione è quella che porta la roccia dall’essere un grande blocco solido a diventare polvere. La pressione, però, è anche quella che si prova nelle miniere o nelle cave, dove si ha la sensazione di essere sovrastati e in pericolo. Le sale diventano man mano più luminose e raffinate, fino ad arrivare alla parola “patience”, che descrive sia i lunghi tempi dei processi geologici, sia la pazienza necessaria per plasmare la roccia come si vuole. Risaliti in superficie, si prosegue la visita alla luce del sole, con sculture, tavoli e una reinterpretazione di un teatro (in chiave “rocciosa”). Questo progetto, che è stato premiato durante la Design Week, nasce dalla collaborazione di Solid Nature con vari studi e artisti che provengono da tutto il mondo. Per citare solo alcuni paesi: Italia, Paesi Bassi, Iran, Australia. Quello di Solid Nature è forse uno dei progetti più internazionali della Design Week, eppure la sua coerenza finale lo porta fuori da questi schemi: la roccia è ovunque, ma soprattutto nelle sue forme più preziose, un patrimonio da non dare mai per scontato. 

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La Milano Design Week è stata uno degli eventi più frequentati nel capoluogo lombardo negli ultimi anni. Turisti e designer si sono raccolti nei piccoli spazi del centro per poter ammirare le installazioni più disparate, e il rischio è stato quello di rendere il tutto troppo istantaneo. Ma “sedendo e mirando,” con fare leopardiano, è stato possibile ascoltare e apprezzare delle storie individuali che raggiungono ogni angolo del globo, per tornare infine sempre allo stesso posto. D’altro canto, la Design Week è soprattutto un’esperienza sensoriale, ed è proprio questo che la rende un evento, per quanto frequentato, intrinsecamente diverso per ogni visitatore. Il profumo del legno di Puglia o la superficie piana dell’onice, come i colori sgargianti delle sedie e quelli più morbidi dei coffret, racconteranno sempre una storia distinta.

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I was born in Rome, Italy, and I have studied at an international school. I use photography and writing since childhood to try to seize the beauty around me. I am currently enrolled in Economic and Social Sciences at Bocconi.

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