Torino in un viaggio emozionante, la città raccontata tramite le parole della sua gente. Tra antichi libri e pianoforti senza spartito, ho scoperto l’anima vibrante di questa città. Torino, un incantesimo di passato e presente che cattura ancora milioni di turisti.
Pochi minuti dopo le sette di sabato mattina mi trovo in treno con il sole che deve ancora sorgere e una città da raccontare: Torino.
Prima di tutto, perché proprio Torino? Non so, ci sono talmente tante motivazioni, e nessuna riguarda il calcio, che sicuramente è ben radicato nella tradizione di questa città. Diciamo che Torino mi ha sempre ispirato un ottimo equilibrio tra passato e presente, come uno di quegli alberi secolari che godono di un’imponente altezza ma solo grazie alle radici ben piantate a terra.
Nel frattempo, ho chiesto al creatore di immagini di Bing di disegnare Torino, e il risultato è stato particolarmente interessante, visto che ha dato una rappresentazione corretta della città, ma ha evidentemente esagerato riguardo la sua cornice, ovvero le montagne, che la dividono dalla vicina Valle d’Aosta con le Alpi Graie, e dalla Francia con le Prealpi di Savoia.
Il treno lascia velocemente l’agglomerato urbano che fa di Milano la seconda città più popolosa d’Italia, e il paesaggio cede spazio ad una distesa prevalentemente verde, con qualche costruzione qua e là, principalmente capannoni e pochi centri abitati. La vera protagonista di questo scenario è, però, lei, l’origine di molti dei pregiudizi sugli abitanti di Milano, e della Pianura Padana più in generale, la nebbia. In un viaggio del genere si capisce quanto veritiera e azzeccata sia l’immagine di una dolce coperta che avvolge la terra, come molti poeti e pittori hanno avuto occasione di descrivere.
Qualche minuto dopo le nove, il treno ferma nella stazione di Porta Susa, la seconda più grande di Torino, poco fuori dal centro. La stazione è sotterranea, e non dà la possibilità di ammirare il paesaggio della città che si chiude attorno, ma già qualche chilometro fa le prime case iniziavano a farsi avanti, sempre più numerose, fino a diventare lo standard di ciò che si poteva vedere dal finestrino. Passano ancora alcuni minuti e si giunge a Torino Porta Nuova, la mia destinazione. La stazione ti accoglie con il suo imponente edificio di fine 800 color rosso; al suo interno, dopo esser sceso dai binari, ho il piacere di ascoltare un pianoforte suonato da un signore anziano, con una straordinaria abilità tecnica unita a grande memoria, visto che sembra non sbagliare una nota pur non avendo alcuno spartito a disposizione, se non nella sua mente. Uscito dalla stazione, condivido con un ex carcerato un pezzo di pane che mi sono portato e mi concentro sulle prime impressioni di Torino. Piazza Carlo Felice non ha nulla da invidiare alle principali piazze di altre città italiane:, tra metropolitana, tram e autobus c’è davvero l’imbarazzo della scelta. La prima impressione è quella di una città nella quale ognuno ha uno scopo, e lo persegue in ordine; l’unico rumore che si sente chiaramente è uno sferragliamento generale dovuto ai tram, oltre al classico suono indistinto di molte auto che passano per Corso Vittorio Emanuele II. Nessuno urla, nessuno schiamazza.
Cammino per cinque minuti e mi ritrovo in via Amendola. Sulla strada ho il piacere di imbattermi in un’esposizione di venditori ambulanti di libri di ogni genere, da quelli antichi fino ai più recenti. Chiedo un paio di informazioni riguardo una Divina Commedia del 1868, dal prezzo di 20€, con alcuni appunti scritti a margine a matita. La signora, di ben 87 anni, mi spiega che appartenevano ad una professoressa che conosceva, adottata da un Doge perché insegnasse italiano ai suoi figli. Alla sua morte, questo fantastico libro è passato nelle mani della signora che ho il piacere di avere di fronte, sua cara amica. La ringrazio, le faccio i complimenti per l’energia e mi sposto più in là. Ecco che mi fermo ad un banchetto pieno di pipe, e conosco Stefano, che mi racconta come si stabilisce il valore di una pipa. In sostanza, bisogna guardare da quanto legno è composta, il livello di usura del “rim” e del bocchino, e finire con la marca. Torino, in tutto questo, rivela di essere una città con dei talenti nascosti, e funge da ottimo sfondo per ogni attività che porta a visitarla. Le strade sono pulite, le piste ciclabili presenti e ben segnalate. Si trovano bar ad ogni angolo e le persone scorrono a fiumi, con un passo rilassato, non lento, ma semplicemente senza fretta, come se fosse la città stessa a farsi carico di evitare l’insorgere di imprevisti.
Camminando altri 5 minuti verso il centro, ci si ritrova alle porte di Piazza San Carlo, un vero e proprio gioiello della città. Situata accanto al Museo Egizio, questa piazza costituisce il centro dell’attività culturale di Torino. A riprova di questo, è in corso “Portici di Carta”, una nota iniziativa letteraria della città, in cui si promuovono autori provenienti da diverse nazioni e culture. Ho il piacere di incontrare Lella, un’ex insegnante di lettere ormai in pensione da un anno, a cui chiedo immediatamente cosa rappresenti nell’immaginario comune dei torinesi questa piazza. Mi spiega che per loro rappresenta la recente strage avvenuta durante un concerto. Correva l’anno 2017, e Nella ricorda ancora quando le suonarono sotto casa dicendo che era in corso un attacco terroristico, anche se la verità era ben altra; questo fatto ha sconvolto la vita dei cittadini di Torino, al punto da cancellare tutta la storia precedente e imprimere, associandola a questa piazza, questa tragedia nella loro mente.
Mi incuriosisce una mostra di Luca Locatelli, un fotografo, riguardo l’economia circolare. L’ingresso è gratuito soltanto oggi:, scelgo di visitarla. Tratta di molti temi, e le fotografie sono il filo conduttore di una narrazione all’insegna delle ultime tecnologie per trasformare i rifiuti in nuove risorse, con l’obiettivo di minimizzare gli sprechi e le emissioni di gas inquinanti. Lo spazio è ben organizzato e la visita risulta piacevole. Locatelli è un fotografo facente parte dell’organizzazione delle Gallerie d’Italia, che si occupa di salvaguardare il patrimonio culturale italiano. Questo spazio espositivo è un fiore all’occhiello della città, rendendo orgogliosi i propri cittadini.
A soli due minuti di camminata si trova l’enorme complesso del centro di Torino, Piazza Castello, con Palazzo Madama, il teatro Regio, Palazzo Reale e i Giardini Reali. Incontro il signor Zanetta, vestito in modo elegante, con una ventiquattrore nella mano destra. Gli chiedo che cosa rappresenti per lui questo luogo. “È la nostra storia, un punto in cui si guarda al passato con un occhio di riguardo al futuro”. Questa la sua risposta. Gli chiedo di essere più specifico, e inizia a spiegarmi che la storia della sua città ha un trascorso particolare, caratterizzato sempre da alti e bassi, a partire dalla Torino capitale del Regno, fino alla ripresa del settore industriale dopo il periodo fascista. Quello che la città vivendo ora, secondo il signore, è un periodo basso, e confida in una ripresa notevole della sua città. Lo ringrazio, gli stringo la mano e gli auguro una buona giornata. Torino è anche questo, una città in grado di adattarsi al cambiamento, di non perdere il suo spirito e di risollevarsi da eventuali cadute con stile.
Proseguo verso la famosa Mole Antonelliana attraverso una parallela della famosa via Po. Incontro una signora che gestisce un piccolo spazio botanico proprio dietro il monumento. Mi sveglia mentre cercavo di schiacciare un pisolino su una panchina, e mi spiega che deve chiudere perché si è fatta ora di pranzo. Le chiedo scusa e ne approfitto per capire cosa fosse per lei la Mole. In modo molto semplice ma significativo mi dice che è il simbolo di Torino, che rende orgogliosi tutti i suoi abitanti ogni giorno; poi vira sulla città più in generale, e sottolinea come sia in grado di offrire una marea di opportunità, al pari delle altre grandi città.
Mi sposto in piazza Vittorio Veneto, la più grande piazza porticata d’Europa. Prendo un caffè e una brioche salata mentre scambio due chiacchiere con Giovanna e Franca, due signore anziane ma ancora piene di energia e di voglia di chiacchierare. Partiamo proprio dalla Piazza, e mi raccontano che ai loro tempi non era ancora pavimentata, ma il fango costituiva il suolo abituale di quello che era il sito principale delle giostre del fine settimana. Si ricordano bene dei carnevali, momento in cui il paesaggio diventava surreale, con il cielo grigio, i palazzi scuri e questi ottovolanti che andavano avanti, indietro, su e giù. Per loro, Torino ha un prima e dopo di cui le Olimpiadi Invernali del 2006 sono lo spartiacque; la città venne ristrutturata da cima a fondo, facendole completamente cambiare aspetto, verso una versione decisamente più pulita e all’avanguardia, progressivamente abbandonata dalle successive amministrazioni, a detta di Giovanna e Franca. La discussione si sposta sul tema dei giovani, e più nello specifico sulla socialità della città; da questo punto di vista, Torino è sempre stata in grado di rimanere al passo con i tempi, visto che le due signore ammettono che a livello di vita notturna e socialità in generale la città ha fatto passi in avanti enormi. Hanno solo da lamentare il mancato rispetto delle ore notturne da parte di molti giovani, che dovrebbero farlo in zone più isolate. Ai loro tempi, ricordano, si andava al cinema e di notte si bisbigliava, per evitare di svegliare i grandi. Dopo aver scambiato qualche parola riguardo le ultime proteste e il dibatto sollevatosi a seguito dell’intervento violento da parte della Polizia, le saluto e accolgo con gioia i loro auguri di una buona fortuna. È il momento di mettersi di nuovo in cammino.
Mi fermo lungo i Murazzi, delle banchine a bordo fiume che lo costeggiano per circa un chilometro tra i due ponti principali della città. I canottieri sfrecciano avanti e indietro, con una coordinazione impeccabile nei movimenti, accompagnati dal rumore del legno che colpisce le acque del Po. Giusto il tempo di visitare la chiesa Valdese, passare di fronte alla Sinagoga e ritorno in stazione. Qualcuno sta ancora suonando il piano con la stessa passione; non mi rimane altro da fare che ripensare alla giornata appena trascorsa.
Torino mi rimane in mente come la città che riesce a fondere alla perfezione il progresso con il passato. È la città in cui si percepisce la necessità e la voglia di agire, ma senza esagerare, senza caos o confusione. Tutto scorre pacatamente durante il giorno, persino il sabato, ogni suo abitante o turista va per la sua strada, mentre il glorioso passato di questa città non fa altro che essere ricordato ogni volta che si alza lo sguardo dalla pavimentazione in pietra rovinata dal tempo. Torino è una città che comunica la passione per la cultura e l’arte, che ti mette a disposizione un’infinità di occasioni, ma bada bene, devi essere tu a trovarle, loro di certo non si fanno trovare.
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Marco MilesiNovember 28, 2023