26 December 2025 – Friday
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Il 41-bis: luci ed ombre del carcere “duro” in Italia

A cura di Noemi Gallo

L’articolo 41-bis è un regime detentivo speciale, noto come carcere “duro”, rivolto ai detenuti condannati per reati di particolare gravità, principalmente di stampo mafioso. Nel corso degli anni, tale regime è stato oggetto di numerose valutazioni giuridiche, sia da parte della Corte costituzionale che della Corte europea dei diritti dell’uomo, le quali ne hanno, in linea generale, confermato la legittimità, pur intervenendo su singoli aspetti.

Che cos’è il 41-bis?

L’articolo 41-bis della Legge sull’ordinamento penitenziario (n. 354/1975) è stato introdotto nel 1986 dalla legge Gozzini e interessava, in un primo momento, soltanto casi di emergenza e di rivolte all’interno delle carceri. Originariamente, infatti, l’articolo 41-bis aveva un unico comma. Successivamente alle stragi di Capaci e di via D’Amelio, l’articolo è stato integrato con un secondo comma, il quale prevede la possibilità di applicare il regime a soggetti che abbiano compiuto reati di stampo mafioso.

La ratio dell’istituto è quella di impedire il contatto tra il detenuto e l’esterno, in particolare per evitare il passaggio di ordini, informazioni o qualsiasi altro tipo di comunicazione tra il soggetto in carcere e le organizzazioni di appartenenza sul territorio.

Quando fu introdotto il 41-bis era stato pensato come una misura temporanea, di carattere eccezionale, volta a far fronte alla situazione di emergenza in cui si trovava il Paese negli anni ’90 del secolo scorso. La sua efficacia era infatti limitata ad un periodo di tre anni dall’entrata in vigore del decreto di conversione. Tuttavia, dopo diverse proroghe, il carcere “duro” è entrato stabilmente nel nostro ordinamento nel 2002, con la legge n.279.

Quando si applica?
Il regime si applica in due casi disciplinati dai commi primo e secondo del presente articolo.

Il primo comma prevede l’applicazione del regime in casi di rivolta in carcere o in altre gravi circostanze di emergenza. In questo caso il Ministro della Giustizia può ordinare la sospensione delle ordinarie regole di trattamento per tutto l’istituto penitenziario o solo per una sua parte. Questa sospensione, dunque, risponde all’esigenza di ripristinare l’ordine e la sicurezza all’interno dell’istituto e ha la durata necessaria a questo scopo.

Il secondo comma prevede invece la possibilità di sospendere le normali condizioni di trattamento nel caso in cui vi siano gravi situazioni di ordine e sicurezza pubblica e il detenuto abbia compiuto i reati previsti dall’articolo 4-bis, comma 1, l. n. 354/1975 o “comunque per un delitto che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione di tipo mafioso”.

La legge prevede la reclusione in regime speciale per la durata di quattro anni, prorogabile – anche per un numero illimitato di volte – qualora i contatti con l’organizzazione di appartenenza non siano cessati del tutto.

Come anticipato, il 41-bis si applica in presenza dei reati elencati all’articolo 4-bis della Legge sull’ordinamento penitenziario (n. 354/1975). Si tratta di alcuni tra i reati più gravi previsti dal nostro ordinamento, quali i reati aventi finalità di terrorismo, l’associazione a delinquere di stampo mafioso, la riduzione o il mantenimento in schiavitù, lo sfruttamento della prostituzione minorile, la tratta di persone, e altri.

Tuttavia, i Rapporti sul regime detentivo speciale forniti dal Ministero della Giustizia indicano che nella prassi più del 90% dei detenuti in 41-bis sono imputati o condannati per il reato di cui all’articolo 416-bis c.p., ovvero l’associazione di tipo mafioso, anche straniera.

Misure applicabili
A ciascun detenuto in 41-bis viene assegnata una cella individuale, nella quale trascorre circa 21 o 22 ore al giorno. In linea generale, il detenuto non può accedere alle aree comuni del carcere e l’unica forma di comunicazione con altri soggetti sono i c.d. gruppi di socialità, ovvero gruppi composti da un massimo di quattro detenuti che possono interagire tra loro.

Inoltre, i detenuti sono sottoposti al controllo di un personale penitenziario ad hoc, ovvero il Gruppo Operativo Mobile (GOM) che si occupa specificatamente di attività di controllo e vigilanza dei detenuti in 41-bis. Il GOM, durante il servizio, non può entrare in contatto con gli altri corpi di polizia penitenziaria.

Un altro elemento caratterizzante questo regime è la forte limitazione dei colloqui, i quali sono ammessi soltanto con familiari o conviventi. Le visite sono ridotte a una al mese e sono della lunghezza massima di un’ora, in luoghi attrezzati al fine di impedire il contatto fisico e il passaggio di oggetti. La legge impone la presenza di un vetro divisorio e i colloqui sono monitorati a distanza da un agente di polizia penitenziaria.

Inoltre, è limitata la possibilità di ricevere oggetti dall’esterno, infatti i detenuti in 41-bis non possono avere effetti personali nelle loro celle, quali libri, giornali, o diari provenienti da fuori. I detenuti sono poi sottoposti alla censura della propria corrispondenza, ad eccezione di quella con membri del Parlamento o con altre autorità nazionali od europee che hanno poteri in materia di giustizia. Infine, la partecipazione alle udienze è ammessa soltanto da remoto.

Profili di legittimità costituzionale
Il presente regime detentivo è stato da sempre al centro di un acceso dibattito circa la sua compatibilità con il dettato della Costituzione, la quale concepisce la pena come orientata alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato e soprattutto vieta l’applicazione di pene contrarie al senso di umanità.

I caratteri più illiberali della misura sono stati oggetto di intervento da parte della Corte costituzionale, la quale è stata chiamata più volte a pronunciarsi su diversi aspetti dell’articolo. Tuttavia, la Corte nel corso degli anni ne ha confermato, nell’insieme, la legittimità.

La legittimazione di questo regime speciale, secondo la Consulta, trova il suo fondamento nella finalità di “contenere la pericolosità di singoli detenuti, proiettata anche all’esterno del carcere, in particolare impedendo i collegamenti dei detenuti appartenenti alle organizzazioni criminali tra loro e con i membri di queste che si trovino in libertà” (sentenza n. 97/2020).

Nel 2018 con la sentenza n. 186 la Corte si è pronunciata circa il divieto di cottura dei cibi sancito dall’articolo 41-bis, comma 2 quater, lett. f): tale previsione è stata dichiarata incompatibile con gli articoli 3 e 27 della Costituzione.

Questo divieto poneva una disparità di trattamento ingiustificata, rispetto alla condizione che interessa i detenuti in regime ordinario; inoltre – secondo la Corte – si trattava di una disposizione di carattere puramente afflittivo e vessatorio, contrastante con il fine rieducativo della pena e con il divieto di infliggere pene contrarie al senso di umanità.

Più recentemente, nel 2022, la Corte è tornata a pronunciarsi su questo tema con la sentenza n. 18. In questo caso la Consulta ha accolto una questione sollevata dalla Corte di Cassazione, dichiarando l’incostituzionalità dell’articolo 41-bis, comma 2 quater, lett. e) nella parte in cui sottopone al visto di censura la corrispondenza tra il detenuto e il proprio difensore. In questo caso la Corte ha ravvisato la violazione del diritto di difesa sancito nell’articolo 24 della Costituzione.

Al pari della Corte costituzionale, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo è stata chiamata più volte a pronunciarsi circa la compatibilità del regime con i principi sanciti dalla CEDU, in particolare con l’articolo 3.

Anche la Corte europea non ha ritenuto il regime in contrasto con la Convenzione, poiché si configura quale strumento necessario per interrompere definitivamente i legami tra i soggetti detenuti e le organizzazioni criminali, e non va al di là di quanto, in una società democratica, è necessario alla difesa dell’ordine e della sicurezza pubblica e alla prevenzione dei reati.

In chiusura, si riporta una breve analisi dei dati sullo stato attuale dei detenuti in 41-bis. Secondo gli ultimi dati1 aggiornati al mese di aprile 2024 i detenuti sono 721. Secondo il Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione dell’Associazione Antigone: “la specialità del 41-bis sembra essere ormai investita da un processo di normalizzazione, rendendo tale regime per i detenuti che vi sono sottoposti un’afflizione che ormai ha perso il carattere di eccezionalità”. Si assiste infatti ad un rinnovo quasi automatico dei provvedimenti iniziali di imposizione del regime, senza che vi sia un effettivo monitoraggio.

Fonti
Wikipedia, articolo 41-bis, disponibile su:
https://it.wikipedia.org/wiki/Articolo_41-bis#cite_note-11

Virgilia Burlacu e Massimo Bianca, 41 bis, rapporto con la Costituzione e prospettive del carcere duro, disponibile su:
https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/41-bis-rapporto-la-costituzione-e-prospettive-carcereduro-AEPeAmgD

Angela Della Bella, Carcere duro, disponibile su:
https://www.treccani.it/enciclopedia/carcere-duro-art-41-bis_%28Diritto-on-line%29/

Ventesimo rapporto Antigone sulle condizioni di detenzione, 41bis e Alta sicurezza, disponibile su:
https://www.rapportoantigone.it/ventesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/41-bis-e-alta-sicurezza/

  1. Dati elaborati dal DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). ↩︎
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Associazione studentesca bocconiana. Abbiamo lo scopo di promuovere attività di approfondimento e studio del diritto penale.

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