Ora che ci hanno dato il diritto di voto, e addirittura la patente, ha ancora senso combattere contro il patriarcato? L’esigenza di riprogettare il ruolo della donna nella società si sposa con la necessità di ripensare il capitalismo. Attraverso un viaggio nella letteratura del femminismo contemporaneo, l’articolo penetra il meccanismo di mercificazione del corpo femminile, trovandovi tanti nuovi fronti di battaglia.
La vittoria del femminismo è ancora lontana. La parità sembra conservare la consistenza di un ideale, anche per le “femmine bianche eterosessuali occidentali”, in vetta alla piramide dei privilegi. Perché? Vi è un legame antico, una sorta di cordone ombelicale tra capitalismo e società patriarcale. Ne parla Laurie Penny, giornalista e scrittrice britannica, esperta in gender studies, nell’interessantissimo saggio “Meat market. Carne femminile sul banco del capitalismo”.
Il fil rouge che attraversa il titolo suona come un assioma: il capitalismo detiene il controllo del corpo della donna, ancorché esso aderisca impeccabilmente ai suoi parametri. Entro il suo raggio geografico, politico e sociale d’influenza, le donne divengono consumatrici e consumate. Degli ambiti di condizionamento che, secondo l’autrice, il sistema pone a circoscrizione dell’essere “donna”, il primo è il controllo della sessualità, l’irrefrenabile azione mercificatrice del corpo, rimasta indenne nonostante i decenni di lotte del femminismo.
Laurie Penny ci parla di come il “cannibalismo consumista” morda gli strati più intimi della persona. Dalla sessualità ai disordini alimentari, dal capitale di genere al lavoro domestico, le modalità di contenimento degli spazi fisici, politici e vitali delle donne si estendono capillarmente. Nel primo di quattro capitoli, “Anatomia della frigidità moderna”, l’opinionista scorge la sensibile differenza tra “sessuale” ed “erotico”. La sessualità corrisponde al complesso dei caratteri e dei fenomeni relativi all’istinto, al desiderio fisico autentico dell’individuo, mentre l’erotismo, o “capitale erotico”, attiene ad ogni tipo di performance sessuale finalizzata alla produzione di profitto. Il corpo alienato ed erotizzato non anima i desideri, ma appartiene al rango della merce, e come tale è oggetto di transazioni.
“Il sesso vende, diciamo sempre così. L’industria del sesso ha trasformato tutta l’industria”
op. cit, p.15
Il porno è un capitale immenso sul quale investire. Lo ha intuito la MindGeek, società lussemburghese fondata nel 2007 da Stephane Menos e Ouissam Yousef. La monopolista del settore, con un fatturato di circa mezzo miliardo di dollari, si assicura un posto nella top ten dei maggiori consumatori di banda, superando colossi come Twitter, Facebook o Amazon. MindGeek possiede più di cento tra i principali tube sites e, secondo quando dichiarato da Mike South (attore, regista, blogger e editorialista di gossip pornografici americani), gestisce l’ottanta per cento dei più celebri aggregatori di porno sul web, che offrono cascate di gigabyte di contenuti gratuiti – e troppo spesso piratati – decuplicando i proventi a suon di click e pubblicità.
La storia di MindGeek è costellata di misteriosi affaires. Il giornalista Auerbach (Il Post) li elenca sommariamente. Dagli oltre sei miliardi di dollari sequestrati dai conti della società, solo due anni dopo la sua nascita, a un nebbioso prestito di 362 milioni di dollari, ottenuto da MindGeek nel 2011. I soldi risultano provenire dal fondo Colbeck Capital di Wall Street, fondato da due ex dipendenti della Goldman Sachs, dai quali la stessa risulta aver preso le distanze. E ancora, dalla testimonianza di Auerbach spunta il nome Fabian Thylmann, investitore tedesco. Dopo aver acquistato le azioni della MindGeek nel 2009, mutandone il nome, fu estradato dal Belgio per evasione fiscale sui profitti della stessa. Tra il 2015 e il 2016, le stesse accuse hanno costretto l’imprenditore al pagamento di una multa da cinque milioni di euro, prima della condanna a un anno e quattro mesi di libertà vigilata del tribunale regionale di Aquisgrana.
Gli effetti peggiori di una pornografia squisitamente capitalistica non sono diagnosticabili con mezzi legali, ma si annidano all’ombra della consuetudine, minacciando gravemente le dinamiche sociali.
Eloïse Becht, ex pornostar, oggi giornalista, scrittrice e regista, nel suo recente documentario Pornocracy ammonisce “le nuove multinazionali del sesso” per come occultamente maneggiano e risucchiano i guadagni del settore. “L’industria del porno è stata presa dalle grandi aziende tecnologiche gestite da manager con basi in paradisi fiscali. Non hanno relazioni dirette con il porno, non seguono le riprese, non incontrano le performer, ma succede come in altri settori:“uberizzazione” della forza lavoro con enormi piattaforme che non hanno alcuna considerazione dei performer. […] il quadro finale è quello, ultraliberale, di un capitalismo selvaggio, che disprezza lo stesso lavoro con cui si arricchisce“.
L’oggetto delle transazioni è la carne di Meat Market. Laure Penny indaga le pericolose intersezioni tra umano e disumano, affermando che, sul banco del capitalismo, la materia prima più pregiata sono proprio i corpi delle donne. Belli, naturali, diversi. Modi d’essere stregati da un grido incessante di “mai abbastanza”, sempre più altrove rispetto alla possibilità di essere -veramente e finalmente- nostri. La giornalista inglese analizza i germi dell’alienazione del corpo femminile, toccando anche il tema della prostituzione che, nella stragrande maggioranza dei casi, chiarisce essere “involontaria”. Affianco al capitale erotico, messo a profitto dai tube sites, la prostituzione involontaria rientra a buon diritto nei meccanismi di oppressione del corpo femminile attraverso la sua oggettivazione e sessualizzazione. E’ un mondo complesso, che spesso mostra dinamiche parallele alla tratta degli esseri umani e alla schiavitù. Storicamente, la donna è stata spinta a fare del corpo il suo capitale a causa dello svantaggio nell’accesso alle risorse. Lo scambio di sé con altro da sé ha minato la specificità della sessualità femminile, mutandola in servizio e, infine, lavoro. Le vittime – che non a caso appartengono alle categorie più svantaggiate della società — sono intrappolate in una profonda corruzione morale. Infatti, pur rispondendo a un bisogno collettivo (una domanda di sesso), le prostitute personificano il capro espiatorio di una “colpa comune”.
Lo sguardo prospettico sul fronte della clientela, che allo stesso tempo finanzia, condanna e ostracizza, non risulta meno drammatico. Sono in tanti a occuparsi della lotta alla pornodipendenza, tra loro la S.I.I.Pa.C. Onlus (Società Italiana di Intervento sulle Patologie Compulsive). Il mancato filtraggio dei contenuti pornografici fruibili online contribuisce alla propagazione di questa patologia. Complici dell’espansione incontrollata delle piattaforme pirata il mondo religioso e tradizionalista, che ne istituiscono la gesuitica impenetrabilità, confinando il sesso nel recinto del tabù.
In Italia come in Bulgaria, Lituania e Cipro, manca una norma che sancisca l’obbligatorietà dell’educazione sessuale in ambiente scolastico. Per giovani e giovanissimi, i video porno suppliscono alle informazioni di studiosi e insegnanti. Alla convergenza degli immaginari di migliaia di adolescenti nei fotogrammi struggenti di ragazzine possedute, si affianca il terrore delle loro coetanee rispetto a un atto la cui naturalità è vampirosamente risucchiata dalle richieste del capitale erotico. Del suo mercato alle donne non è concesso il controllo, ma solo la – troppo spesso condizionata – sottomissione. E’ la rinuncia a ogni diritto di proprietà sul proprio corpo, ora soltanto carne – dal titolo di Laure Penny – da abbandonare all’anarchia violenta del Meat Market.
Tratto dal 92° numero di Tra i Leoni, ottobre 2020. Potete trovare l’intera edizione qui.
Born in 2000, she started talking and rebelling very early and never stopped. Currently an ACME student, in the free time she enjoys writing, philosophising and listening to techno.