Questo articolo ha lo scopo di esplorare l’unica sonata composta da Franz Liszt, compositore ungherese del XIX secolo.
Al fine di poterne indicare alcuni passaggi specifici, l’esecuzione a cui farò riferimento è quella di Vladimir Horowitz, incisa nel 1977 (si può trovare a questo link). Lo stile esecutivo di Horowitz lo rende perfetto per l’interpretazione di questo brano; è peculiare nella potenza del suono ottenuta riuscendo a mantenerlo morbido e rotondo, ma anche nella sua straordinaria variazione timbrica, nell’incredibile espressione dinamica e nella perfezione delle sue ottave ripetute.
Per chi non conoscesse Franz Liszt, non è affatto semplice farne un ritratto di poche righe. È un compositore romantico ungherese, e uno dei più grandi virtuosi del pianoforte di tutti i tempi. Ha dato un enorme contributo allo sviluppo della tecnica pianistica, ed è uno dei compositori più popolari nel repertorio moderno di pianoforte da concerto. Le sue composizioni sono famose per essere molto impegnative sul profilo tecnico, e sono talvolta di non facile ascolto se paragonate a quelle di altri compositori romantici come Chopin.
La Sonata in si minore fu scritta tra il 1852 e il 1853, dopo che Liszt terminò la sua carriera da virtuoso del pianoforte per dedicarsi alla composizione. Una particolarità di questo brano è la riduzione della sonata, che è generalmente costituita da tre movimenti, a un solo movimento della durata di una trentina di minuti in cui si intravede una struttura ciclica, con all’interno quattro temi principali che si ripetono varie volte a tempi diversi.
Il carattere generale è rappresentato da un tono estremamente cupo e drammatico in cui si intravedono solo alcuni momenti più melodici e lirici, come gli episodi che si susseguono dal minuto 4:35 al minuto 6:59; e la sezione centrale che è molto calma e riflessiva, interrotta solo momentaneamente dal minuto 15:10. Questa cesura dà inizio a una parte più movimentata ma molto affascinante, probabilmente la mia preferita. Il momento di maggior pathos dell’intera Sonata invece secondo me viene plasmato a partire dalla progressione del minuto 25:27 e dalle ottave con l’indicazione di “Presto” e di “Fortissimo” del minuto 25:54, per poi concretizzarsi al minuto 26:24.
Invece per quanto riguarda il finale sappiamo che inizialmente era stato pensato in modo completamente opposto a quello che infine Liszt scelse prima della pubblicazione avvenuta nel 1854. L’immagine di copertina di questo articolo è il finale che fu poi scartato barrandolo con segni rossi sul manoscritto, contraddistinto da un’indicazione di “Pianissimo” che richiama l’inizio della composizione, e in tempo molto calmo.
Una curiosità che riguarda questo brano è relativa alla sua dedica. Liszt infatti dedicò la Sonata a Schumann, che però in quegli anni era ricoverato presso una clinica, e la copia che giunse a casa sua venne studiata dalla moglie, che nel suo diario scrisse parole molto dure sull’opera. In particolare la ritenne “null’altro che un cieco rumore”, con “neppure una minima idea sana” dove “tutto è imbrogliato”. Quello di Clara Schumann non fu l’unico commento così negativo nei confronti di questo brano; ad esempio, il critico musicale dell’epoca Eduard Hanslick disse che “chiunque l’abbia ascoltata e la trovi bella è al di là di ogni aiuto”, e si narra che Brahms si addormentò durante un’esecuzione della Sonata fatta dallo stesso Liszt.
Nel caso in cui vi abbia incuriosito a tal punto da farvi ascoltare la Sonata, i miei suggerimenti sono due: ascoltatela integralmente, e nel caso in cui non dovesse piacervi dategli una seconda possibilità. Nonostante sia ora uno dei miei brani preferiti, ricordo che la prima volta che lo ascoltai mi parve inutilmente complesso, e a eccezione di alcuni passaggi (come il tema che si trova per la prima volta al minuto 3:33, il passaggio del minuto 19:40 e i passaggi più lirici citati prima) non riuscivo a interpretare in nessun modo quell’insieme confuso di suoni.
Una reazione di questo tipo al primo ascolto questo brano in parte è normale. Elaborando quanto scritto da Massimo Mila in Breve storia della musica (Einaudi, 1993), si può affermare che “è esistita una corrente della musica romantica nella quale la forma esterna, come il timbro strumentale, prevale sul nocciolo melodico, e che ha come limite estremo ideale il rumore allo stato puro”. E sicuramente apprezzare il rumore è più impegnativo rispetto ad apprezzare una soave melodia. Come disse Stravinsky riferendosi a parte della musica orchestrale romantica, “mai è concessa all’orecchio la festa di un timbro limpido, […] tutto è amalgamato”. Questa descrizione sicuramente rispecchia bene buona parte della Sonata, che però presenta passaggi come quello del minuto 4:26 che sono agli antipodi di questa descrizione. Ma in fondo, forse, visto lo spettro di esperienze musicali che la sonata va a toccare e la sua complessità di difficile interpretazione, solo Franz Liszt può dire di averla capita a pieno. O chissà, forse nemmeno lui.
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