Il 7 febbraio è venuta a mancare la fotografa Marirosa Toscani Ballo. Nella sua storia vita e fotografia sembrano così strettamente legate da rendere difficile distinguerle, formando un’unione fra vita personale e professionale che ispira la mente di un giovane.
Marirosa può sembrare una predestinata. La figlia del reporter del Corriere della Sera Fedele Toscani racconta infatti in un’intervista: “In casa nostra si è sempre parlato di fotografia. Iposolfito era la parola d’ordine e anche noi in fondo sapevamo di iposolfito” (nota: l’iposolfito è un liquido usato per il fissaggio fotografico). Mentre è iscritta al liceo artistico a Brera, a seguito di una malattia del padre, lo sostituisce nella sua agenzia fotografica Rotofoto per aiutarlo. Come reporter fotografa fra le altre cose i Campionati del mondo di automobilismo a Barcellona, Miss Italia e l’alluvione del Polesine. La fotografa stessa in un’intervista racconta come non ci fossero molte reporter in quegli anni, anzi “praticamente nessuna, alcune modaiole o quelle nate ricche che potevano permettersi di fare fotografia”. Nel frattempo, conosce Aldo Ballo, allora iscritto ad Architettura al Politecnico di Milano, con cui inizia a collaborare e con cui nasce un lungo rapporto che unisce arte, lavoro e vita culminante con il matrimonio dei due e l’apertura dello studio fotografico Ballo+Ballo.
Presto il nuovo studio si specializza nelle immagini di oggetti di design e inizia a lavorare per architetti e designer, tra cui Magistretti, Zanuso, Enzo Mari, Castiglioni, Sottsass, Albini e Sapper e per importanti aziende come Guzzini, Artemide e Olivetti. La fotografia dei Ballo cercava, come diceva Aldo, di “andare dentro gli oggetti”, di coglierli nella loro essenzialità nuda, trovando in quegli oggetti industriali forme pure, definitive. Se da un lato la ricerca della forma più perfetta -in una faticosa ricerca e di perfezione e di perfezionamento- è tratto essenziale dell’esperienza del design italiano della seconda metà del secolo scorso, dall’altro la fotografia, come narrazione, contribuisce a crearne il mito. In particolare, etimologicamente, una fotografia intesa come narrazione della luce, e delle ombre, “mette in luce” le forme e il fine dell’oggetto ritratto, lo estrae dal mare dell’ignoto e lo “proietta” -duplicemente- nel mondo economico e nel mondo artistico. “Quando vedevo le fotografie di Aldo e Marirosa Ballo”, scrive Mario Carreri, “mi mettevo quasi a piangere dall’ammirazione. I loro impareggiabili bianchi (mai più uguagliati) incoronavano composizioni tanto equilibrate e caste da sembrarmi non più foto ma commoventi apparizioni.”. Ed è proprio la luce che racconta questi oggetti, che permette l’accesso ad un primo livello di conoscenza dell’oggetto, quello visivo, che fa intuire la funzionalità -finalità progettata- dell’oggetto. “E’ successo fin dalla prima volta”, racconta Alina Kalczynska Scheiwiller, “di capirci subito e di sentire l’importanza della luce, quando Marirosa ha fotografato le mie vetrate-bassorilievi realizzati con cristalli irregolari di grosso spessore sui quali la luce si rifrange, scivola sulla superficie piatta e vibra sui tagli delle gemme.”
Guardando ogni fotografia, si nota proprio come gli oggetti-creazioni siano trattati con una cura e una confidenza che li fanno sembrare persone: le cose sono poste al centro, quasi persone lo fossero davvero. Se il design cercava la funzionalità delle cose per l’uomo ed era in definitiva antropocentrico, la fotografia dei Ballo sembra quasi oggetto-centrica. L’uomo è grande assente-presente: demiurgo che immagina nuove forme, nuovi usi, nuove possibilità da un lato, consumatore-bambino che scopre il mondo tramite la potenzialità dell’oggetto dall’altro: come scrive Oreste Del Buono “basta ritratti solo ritratti a oggetti rigorosamente disegnati”.
L’archivio dello studio Ballo+Ballo è custodito nel Civico Archivio Fotografico al Castello Sforzesco.
A volte mi sorprendo a osservare il mondo come se fosse un mito, a vederlo popolato da eroi tragici (classici?) per capirlo un po’ meglio. O solo per gioco?
Currently studying Economics and Social Sciences to try to navigate complexity with some weird models.