Alla luce del famoso caso dello stabilimento di acciaierie torinesi Thyssenkrupp, le Sezioni Unite si sono pronunciate ancora una volta sulla sottile e controversa linea di confine tra le figure di dolo eventuale e colpa cosciente, un tema già discusso ampiamente in passato e su cui la Suprema Corte ha voluto imporre un orientamento giuridico parzialmente diverso da quello presente sino a quel momento.
La Vicenda
La vicenda del caso Thyssenkrupp, durata molti anni e composta da diverse tappe processuali, si apre la notte tra il 5 e 6 dicembre 2007, quando, all’interno dello stabilimento, si formò una nuvola incandescente di olio nebulizzato di un’ampiezza pari a 12 metri che cagionò la morte di sette operai e lesioni gravi a molti altri.
Con la sentenza di primo grado, pronunciata dalla Corte d’assise di Torino il 15 aprile 2011, i vari imputati, tra cui amministratori e dirigenti garanti delle sicurezza sul lavoro all’interno dell’impresa, furono dichiarati colpevoli di omicidio colposo (art. 589 cp) aggravato dall’avere agito nonostante la previsione dell’evento (art. 61.3 cp). Diverso trattamento fu riservato all’amministratore delegato il quale, data la sua posizione apicale nell’organigramma aziendale, fu condannato, ai sensi dell’articolo 575 cp, per omicidio doloso, commesso con dolo eventuale. La Corte, infatti, ritenne che l’amministratore delegato si fosse rappresentato la seria possibilità del verificarsi dell’evento e che, nonostante tale previsione, avesse accettato, pur di conseguire i suo scopi di politica aziendale, il concretizzarsi di tale ipotesi, mettendo dunque a rischio l’integrità fisica e la vita dei suoi lavoratori.
Diverso fu l’orientamento adottato nel 2013 dalla Corte di assise di appello di Torino che qualificò l’amministratore delegato colpevole alla pari degli altri imputati. Egli, secondo l’interpretazione dei giudici, avrebbe escluso il verificarsi di un evento lesivo, in quanto, presso lo stabilimento, spesso scoppiavano piccoli incendi abitualmente poi spenti dagli operai. In questo caso, dunque, si considerò la condotta dell’amministratore delegato riprovevole solo sotto un profilo di colpa cosciente, poiché il soggetto non avrebbe compiuto le medesime azioni, qualora l’evento dannoso si fosse rappresentato come certo.
Tale interpretazione fu confermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione presieduta dal primo presidente Giorgio Santacroce con la famosa sentenza n. 38343/2014. La decisione della Suprema Corte fu di fondamentale importanza, non tanto in merito alla risoluzione del caso concreto, ma in quanto introdusse un orientamento normativo diverso da quello precedente. La Corte, infatti, presentò il criterio giuridico che consente di differenziare le due forme di colpevolezza e, data la controversa natura di questa linea di confine, si impegnò a fornire una breve introduzione per meglio definire le principali caratteristiche dei due elementi soggettivi del reato.
Considerazioni Giuridiche: Il Dolo e la Colpa
Il dolo è la più grave forma di responsabilità penale. Secondo l’articolo 43 cp, un reato è doloso quando “l’evento dannoso posto in essere dall’agente è stato da lui preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione”. Tale elemento soggettivo si compone di un duplice coefficiente psicologico, la rappresentazione e la volizione, e si classifica, in base al diverso grado di intensità di questi due momenti, in tre categorie: dolo intenzionale, dolo diretto e dolo eventuale.
Il dolo intenzionale è la più grave forma di dolo e si verifica quando l’agente compie una condotta mirata a realizzare il fatto antigiuridico. Il dolo diretto, d’altra parte, avviene quando il soggetto non persegue la realizzazione del fatto, ma tale ipotesi gli si rappresenta comunque come conseguenza certa o altamente probabile della sua condotta. Infine, il dolo eventuale, nonché l’ipotesi più lieve di dolo, si configura quando l’agente non persegue la realizzazione del fatto, ma si rappresenta come seriamente possibile l’esistenza di presupposti della condotta ovvero il verificarsi dell’evento come conseguenza dell’azione. In questo ultimo caso, il soggetto accetta il possibile accadimento dell’evento, tanto che, pur di raggiungere il suo obiettivo, costi quel che costi, decide di agire comunque.
Ben diversa è invece la struttura del criterio di attribuzione della responsabilità per colpa, assai meno grave dell’ipotesi di responsabilità per dolo. Essa comporta la previsione dell’evento ed altresì si compone di due requisiti, uno negativo ed uno positivo. Il requisito negativo riguarda l’assenza di dolo, ovvero la mancanza di volontà di causare l’evento, mentre il requisito positivo è descritto dall’articolo 43 cp come “negligenza o imprudenza o imperizia ovvero inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline”. Pure la colpa, ai fini della commisurazione della pena, può essere classificata in diverse categorie a seconda della sua gravità ovvero in base all’ampiezza del divario tra la condotta concreta dell’agente ed il corretto modello di comportamento da seguire. Per tale ragione, la forma più grave di responsabilità per colpa avviene nei casi di colpa cosciente o colpa con previsione, ovvero quando l’agente provoca, per leggerezza, sottovalutazione delle conseguenze che ha previsto o sopravvalutazione delle proprie capacità di evitarlo, un fatto antigiuridico. Secondo il nostro ordinamento, infatti, agire consapevoli dell’evento che potrà determinarsi è più riprovevole dell’agire non tenendo conto dei danni che potranno derivare dalla propria condotta.
Sulla base di questa distinzione assiomatica, risulta chiaro come l’elemento di differenziazione tra dolo eventuale e colpa cosciente non possa essere la previsione dell’evento ovvero il momento rappresentativo del fatto antigiuridico, comune ad entrambe le fattispecie. Il principio di diritto che permette di discernere tra gli ambiti applicativi dei due istituti risiede nell’elemento volitivo ovvero nella situazione psicologica in cui versa l’agente di un reato, al momento della sua commissione. Chi compie un fatto antigiuridico con dolo eventuale ha infatti consapevolmente aderito all’evento dannoso, in quanto egli, pur di ottenere il suo scopo, a prescindere dalle conseguenze, ha agito.
Tale elemento volitivo non è invece presente nell’ipotesi di colpa cosciente. In questa seconda fattispecie, l’agente è consapevole dell’esistenza del rischio e ciononostante non si comporta doverosamente per propria negligenza, trascuratezza, irragionevolezza, imperizia o altro biasimevole motivo, poiché ritiene che tale evento sia comunque non compatibile al suo piano di azione.
Conclusione: L’Accertamento del Dolo Eventuale
Nonostante le differenze dogmatiche tra i due istituti siano profondamente eccepibili, sul piano concreto, risulterà sempre molto difficile per un giudice distinguere un reato commesso con dolo eventuale da un reato commesso con colpa cosciente.
Per tale ragione, la Suprema Corte ha voluto circoscrivere i casi in cui è possibile affermare un’ipotesi di dolo eventuale alle sole situazioni in cui l’elemento psicologico volitivo può essere effettivamente provato in sede giudiziale. Accertare il dolo all’interno di un processo non è infatti mai un’impresa semplice. Il giudice non si potrà basare sulla sua assoluta capacità discrezionale ovvero sul suo istinto per valutare la presenza sia dell’elemento rappresentativo sia dell’elemento volitivo, ma piuttosto su dati esteriori e su massime di esperienza. Tuttavia, proprio per la mancanza di oggettività di queste ultime fonti di informazione esterne, l’autorità giudiziaria, nel processo di accertamento, dovrà necessariamente considerare tutti i contorni del caso concreto in questione. A tal proposito, la sentenza relativa al caso ThyssenKrupp è stata di fondamentale importanza: i giudici introdussero un ricco elenco di indicatori della presenza di dolo eventuale, alcuni attinenti alle modalità della condotta (grado del rischio, reiterazione della condotta), altri relativi alla persona dell’agente (capacità tecniche dell’agente, conseguenze lesive per lo stesso agente).
Le Sezioni Unite hanno voluto così assegnare all’interprete un ruolo sempre più centrale ed allo stesso tempo garantirgli, tramite la presenza di una varietà multiforme di fattori, una maggiore forza decisionale all’interno di un quadro indiziario un po’ controverso, in cui diventerebbe troppo complesso altrimenti verificare la dimensione psicologica dell’agente. Sarebbe inammissibile, infatti, accogliere una connessione non sicura tra atteggiamento interiore ed evento tanto che, proprio per tale ragione, nei casi di incertezza sull’esistenza del dolo, si dovrà obbligatoriamente optare, secondo il principio del favor rei, per l’ipotesi, più vantaggiosa per l’agente, di reato colposo.
Autore: Matilde Rossa