Siete stati annunciati da un fiocco azzurro. Non rosa, per carità, azzurro.
La toxic masculinity (mascolinità tossica) è un potente arto della società patriarcale. Calameontica nelle sue manifestazioni, in realtà fa una cosa sola senza mai stancarsi. Costruisce, sembrerebbe, una prigione azzurra.
La toxic masculinity somiglia tanto a quel disegno di Paul Klee, “L’eroe alato”. Un androgeno 80 per cento collo e 20 per cento non si sa: io so solo che è brutto da far spavento. Ha un unico braccio e senza speranze, che termina con una pinza, di quelle che usano le “femmine” per le sopracciglia. Una gamba zoppa che piange su un ramo d’ulivo. Un’ala più scura di quella di un’aquila, ma decisamente meno graziosa. Monca. Gliel’hanno tagliata. E poi è arrabbiato, ma talmente arrabbiato che si è dimenticato di tirarsi su le mutande.

La toxic masculinity è un libro di norme da rispettare. Ha tante pagine da fare a gara con il codice civile. A differenza però di quest’ultimo, i ragazzi lo trovano interessante, tanto che lo imparano a memoria nonostante non valga mezzo CFU. Il patriarcato li sottopone a innumerevoli prove parziali durante la loro vita. A quella generale però non si arriva mai, e alla fine tutti gli sforzi non valgono nulla. Ma questa è un’altra storia, da zero CFU.
Impariamo bene tutti la toxic masculinity. E’ un volume completo, apprezzato dalla critica. Ti dice tutto: da dove vieni, dove vai e chi devi essere. Cosa vuoi di più dalla vita? L’applaudiamo, tanto da ergerla a sistema valoriale con cui misurare noi stessi la società e noi stessi nella società. La mascolinità sta al tuo personaggio come tu stai al resto del mondo. Se però cominci a fare i calcoli della proporzione, il secondo termine medio scompare. Si semplifica, oppure è trascurabile, ma non te accorgi. Un po’ come gli esercizi di microeconomia, che non li hai capiti ma ti vengono. Tranne il giorno dell’esame. Ma anche questa è un’altra storia.
La toxic masculinity pare un po’ l’amianto di qualche anno fa. L’ha descritta così Lorenzo Gasparrini, filosofo e femminista (caspita, che vitaccia). Ce ne circondiamo e non sappiamo che è tossica. La produciamo noi stessi a costo zero. Lei si moltiplica. Silenziosamente, nelle parole e negli sguardi. E’ un po’ più rumorosa invece quando abita gli schiaffi, le violenze sessuali, i femminicidi. Qui non è azzurra per nulla. E’ violacea, piuttosto. Come i lividi sui volti delle sette milioni di donne italiane che sono state vittima di violenza nel corso della loro vita e hanno avuto il coraggio di raccontarlo all’Istat. Poi ci sono quelle che non l’hanno fatto. Ma pure questa è un’altra storia.
La toxic masculinity colonizza abitudini e gesti. Si traveste un po’ da giurisprudenza e un po’ da politica. Cela la sua animalità sotto un grazioso abito in tulle, seduce l’economia e la sposa. Si riproduce e si legalizza negli spot pubblicitari. Quelli che piacciono, s’intende. Con il suo “We believe: the best men can be”, Gillette ha provato a spiegarlo. Un mare di dislikes. Il matrimonio con il mondo del marketing non si celebra in chiesa. Non è ancora permesso sposare orangotanghi avvolti in lunghi abiti bianchi, ma pure questa è un’altra storia. Promettono di essersi fedeli sempre nella gioia e nel dolore nella salute e nella malattia e di amarsi e onorarsi tutti i giorni della loro vita. Poi si baciano e via alle danze.
La toxic masculinity balla con gli uomini da quando sono piccoli. Nonostante l’esperienza, si muove con la leggiadria di un elefante. Pesta i piedi di continuo ma loro non se accorgono. Oppure fanno finta di niente perché sono veri uomini.
Gli uomini non piangono.
Gli uomini non giocano alle principesse. Semmai a fare la lotta.
Gli uomini hanno i muscoli. Sono forti, dentro e fuori. Più forti degli altri. Più forti delle donne. Più forti di sé stessi.
Gli uomini fanno sport. Leggono poco e sollevano tanto.
Gli uomini giocano a calcio. Per carità, la danza classica proprio no. E se invece ti piace la danza classica? No. A te piace il calcio.
Gli uomini mangiano le bistecche.
Gli uomini non soffrono.
Gli uomini hanno sentimenti senza nome. E se non hanno un nome perché parlarne?
Gli uomini guadagnano di più.
Gli uomini lavorano di più. Sono le donne a doversi occupare dei figli. E se invece te ne occupi tu, sei un mammo.
Gli uomini guidano i SUV.
Gli uomini possiedono. Il sesso è un loro diritto. E se invece non hai fretta? Sei un verginello.
Gli uomini non si truccano.
Gli uomini non evitano il confronto fisico. E se vuoi discutere civilmente? Pappamolle.
Agli uomini, da bambini, piace l’azzurro. E se invece ti piace il rosa? No. A te piace l’azzurro. E ti piace ancora, anche quello della prigione in cui la società ti ha rinchiuso.
Costruiamo un mondo con possibilità più colorate. Per te quella di essere più te stesso senza essere meno uomo. Per me quella di essere più me stessa senza essere meno donna. Un mondo di persone, non di maschi e di femmine.
Born in 2000, she started talking and rebelling very early and never stopped. Currently an ACME student, in the free time she enjoys writing, philosophising and listening to techno.