Che si voglia credere o meno all’efficacia del potere “disinfettante” delle bevande alcoliche contro il Covid-19, non si può negare che un buon calice di vino all’imbrunire allevia la pesantezza delle giornate di quarantena, in cui il tempo sembra livellarsi pian piano attorno a un perno inconsistente a forma di punto interrogativo.
Ma nonostante gli italiani sembrino non voler rinunziare all’aperitivo home made del venerdì sera, l’industria del vino attraversa – anche lei – un tunnel d’incertezza. Dopo il fisiologico calo delle esportazioni verso la Cina (-11.9% nel mese di gennaio secondo la stima della Coldiretti e immaginiamo peggio nei mesi a seguire), la psicosi da pandemia e soprattutto il protrarsi della chiusura delle attività nel settore turistico e della ristorazione, rischiano di incenerire le prospettive di guadagno delle aziende vinicole.
Sulla base dei dati registrati dall’Osservatorio Vinitaly – Nomisma Wine Monitor, il fatturato dell’anno in corso avrebbe superato i 6,36 miliardi di euro del 2019 per le sole esportazioni.
‘Eppur si muove…’, direbbero gli esperti del settore enoico, per i quali la chiave ermeneutica dell’emergenza è la comunicazione. Advertising dinamico e commercio online sono le coordinate di un piano strategico, sinonimo di sopravvivenza oggi e di vantaggio domani.
I danni incalcolabili che colpiranno la distribuzione Horeca potrebbero essere controbilanciati da uno slancio polarizzato. Da un lato, nella direzione del canale GDO, per il quale si sta già assistendo a un incremento delle vendite, dovuto al consumo maggiore di vino c.d. “da tavola”; dall’altro, nel verso dell’e-commerce. Ben si comprende che la compravendita sul web di una bottiglia di vino non possa effettuarsi con la stessa facilità e frequenza di una t-shirt, e che molte cantine non dispongono di una piattaforma adeguata. Tuttavia, sono moltissimi i software attraverso i quali anche i piccoli produttori locali possono registrarsi in grandi mercati virtuali B2C. Un esempio è Foodscovery (www.foodscovery.it), lanciato in collaborazione con Slow Food Italia a supporto delle realtà enogastronomiche locali. E per i più old-fashioned, un messaggio di posta elettronica da inviare alla propria clientela di fiducia è tanto quanto basta per costruire un servizio di wine delivery.
Un siffatto orientamento ha un carattere tutt’altro che provvisorio. Anche se con tempi più lenti rispetto ad altri settori, gli artigli della digitalizzazione stanno afferrando progressivamente anche il mondo vinicolo. Gli effetti della pandemia, contro cui la comunicazione sembra essere l’unica medicina, stanno solo accelerando una modernizzazione che avrebbe travolto nell’immediato futuro, anche senza l’incrociarsi problematico delle contingenze (e dei virus), un’industria che per certi aspetti risulta ancora medioevale. La stessa che, fino a un paio di mesi fa, guardava con disprezzo alla disintermediazione.
Nelle nuove prospettive di mercato, sono proprio le figure degli agenti a dover essere ripensate, e tramutate in veri e propri brand-ambassador, i cui guadagni potrebbero essere calcolati in percentuale rispetto alla totalità degli acquisti in una data area geografica, e non soltanto a quelli da loro direttamente conclusi. Considerando l’agglomerato dei canali di vendita di cui l’azienda dispone, in presenza di un advertising capillare, le vendite online sarebbero comunque strettamente in relazione al lavoro dei nuovi rappresentanti. In un sistema progressivamente digitalizzato, non è pensabile lavorare a “compartimenti stagni”. Lo suggerisce Andrea Gori, noto sommelier, giornalista pubblicista, scrittore e ristoratore da quattro generazioni, in un’intervista a Luca Balbiano, produttore vitivinicolo nel Torinese.
È bene invece guardarsi da soluzioni affrettate e semplicistiche; bene diversificare il portafoglio clienti per ammortizzare i rischi di perdite; male, per il mercato del vino italiano, abbassare i prezzi. Sarebbe un autogol. Minare i margini di profitto, e dunque le possibilità di investire per preservare la qualità e l’eccellenza che contraddistinguono il Made in Italy, è una strategia tanto insensata quanto insostenibile.
Laura Donadoni, esperta di marketing e giornalismo del vino, disegna preziosi suggerimenti, sul modello di alcune aziende americane che hanno escogitato una pluralità di metodi di sopravvivenza, tutti assai accattivanti, a cominciare dal nome di battesimo: “Smart Tasting”.
Dal Som On Call, un servizio di consulenza ai clienti sulla scelta dei vini da acquistare online, a vere e proprie esperienze di degustazione a domicilio: le cantine americane hanno le carte in regola per cavalcare la crisi, modellando le proprie soluzioni comunicative sulla forma delle esigenze dei clienti. Sono proprio questi ultimi i leader del rapporto con i fornitori, che grazie allo Smart Tasting vira verso una dimensione squisitamente intima.
I consumatori che desiderino un’avventura di gusto a trecentosessanta gradi, possono abbinare i vini a deliziose pietanze. Dopo la scelta, che avviene per via telefonica con l’assistenza di un sommelier o del proprietario dell’attività, la cantina prepara un vero e proprio kit di viaggio, completo degli ingredienti, delle ricette dettagliate e del necessario per degustare i vini selezionati.
Senza voler credere, come Eduardo H. Galeano, di essere “tutti mortali fino al primo bacio e al secondo bicchiere di vino”, concediamoci qualche coccola in bottiglia. Siamo rimasti a casa e ce lo meritiamo.
Dal cartaceo di maggio 2020
Born in 2000, she started talking and rebelling very early and never stopped. Currently an ACME student, in the free time she enjoys writing, philosophising and listening to techno.