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Storia di un referendum passato in sordina

I am a first-year student. I am interested in politics and political communication, classical music and robotics.

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Quello che ha portato gli italiani alle urne lo scorso settembre è stato un referendum che purtroppo è passato “in sordina”. Tra i volti protagonisti del fronte per il no un volto noto all’interno del contesto Bocconiano. Ecco quali sono state le ragioni che hanno portato a questa riforma e un’analisi del voto.

“Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere”.

Ludwing Wittgenstein

Questa celebre frase di Ludwig Wittgenstein, in merito alla filosofia del linguaggio e la sua logica, sembra essere stata presa fin troppo alla lettera nel periodo antecedente al referendum costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari, che ha visto una schiacciante vittoria del “sì”, con il 69,96% dei voti.

Questo referendum non rappresentava per gli elettori una semplice riforma, ma una partita di fondamentale importanza per la nostra democrazia e lo sviluppo della nostra rappresentanza; tuttavia, anche a causa della concomitanza con varie elezioni regionali e comunali è passato fin troppo in sordina rispetto agli scorsi referendum costituzionali.

Sicuramente uno dei volti più noti all’interno del contesto bocconiano che si è schierato in maniera molto decisa su questo Referendum è stato il Senatore Tommaso Nannicini, professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche della nostra Università, in aspettativa da marzo 2018 per incarico parlamentare.

Nannicini ha subito fatto parte del comitato promotore che ha dato vita al “Comitato Nazionale Democratici per il NO”, ed è uscito a più riprese su varie testate nazionali per portare avanti la campagna per il “No”.

In un recente articolo, nel quale il Senatore commenta l’esito del referendum sostiene che si può interpretare come “Un bel risultato politico, perché si partiva da una riforma votata dal 97% dei deputati in quarta lettura alla Camera e i primi sondaggi davano il 92% ai Sì soltanto pochi mesi fa”, però sottolinea che “Resta la sconfitta culturale, perché il vento dell’antipolitica e del populismo è ancora forte”.

Ieri un amico mi ha scritto che il 30,4% del No al referendum è stato un bel risultato politico e una sconfitta sul…

Pubblicato da Tommaso Nannicini su Martedì 22 settembre 2020

Insomma, si tratta di un ottimo risultato se considerato il punto di partenza, che dava una vittoria del “Sì” con oltre il 90% dei voti, ma pur sempre una sconfitta che secondo il senatore dovrebbe metterci in guardia rispetto al vento dell’antipolitica.

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A seguito di un riscontro favorevole da parte degli elettori verso la riforma i Deputati passeranno da 630 a 400, mentre i senatori da 315 a 200, più un massimo di 5 senatori a vita. Il numero dei senatori eletti nella circoscrizione estero passerà da 6 a 4 e le provincie autonome di Trento e Bolzano verranno equiparate alle regioni in materia di numero dei parlamentari.

Le tre principali motivazioni che hanno portato a questa riforma sono le seguenti:

Il risparmio economico

Questo è stato uno dei punti di battaglia dei Cinque Stelle. L’ex capo politico Luigi Di Maio ha più volte sostenuto che questa riforma causerà un risparmio di circa 100 milioni all’anno; ma vari osservatori e testate giornalistiche indipendenti descrivono uno scenario ben diverso. Secondo l’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani diretto da Carlo Cottarelli il risparmio non supererebbe i 57 milioni all’anno, pari allo 0,007% della spesa pubblica italiana. Quindi ci si trova di fronte alla seguente domanda: “È stato opportuno tagliare il 36,51% dell’istituzione che rappresenta la nostra democrazia per un risparmio dello 0,007% della spesa pubblica?” Inoltre, anche se si trattasse di una cifra significativa, siamo sicuri che la spesa per un corretto funzionamento del Parlamento sia la prima da tagliare in un’ottica di risparmio?

L’aumento di efficienza del Parlamento

Questo è uno degli argomenti più controversi, infatti non è del tutto chiaro come faccia un Parlamento il cui carico di lavoro, l’organizzazione interna e il funzionamento rimarranno invariati, ma con meno persone che ci lavorano, a diventare più efficiente e a lavorare meglio rispetto a prima. Inoltre, bisogna considerare il fatto che le commissioni parlamentari avranno meno membri, e questo potrebbe causare principalmente due effetti negativi. Il primo riguarda l’accentramento di potere nelle mani di meno parlamentari, mentre il secondo riguarda la diminuzione della qualità del dibattito fatto in aula a causa del numero più contenuto di rappresentanti, che conseguirebbe in una diminuzione delle opinioni e delle idee che nascono tra i banchi di questa importante istituzione.

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I nostri parlamentari sono troppi

Oltre ai motivi legati al risparmio e alla ricerca della massimizzazione dell’efficienza del nostro Parlamento, alla base del taglio c’è anche stata l’argomentazione legata al fatto che il nostro numero di parlamentari sarebbe eccessivo se confrontato agli altri paesi europei. L’indicatore al quale bisogna fare riferimento non è il numero di parlamentari in valore assoluto, anche perché siamo uno dei Paesi più popolosi dell’Unione, ma il numero di abitanti per parlamentare. Per quanto riguarda i Deputati, il valore prima della riforma si attestava sui 96.006 abitanti, che ci portava ad essere 23esimi all’interno dell’Unione Europea. Il dato preoccupante risulta essere il seguente; a seguito della riforma siamo diventati l’ultimo paese, con 151.210 abitanti per Deputato. Per quanto riguarda il Senato, invece si è passati da essere ottavi in Europa a diventare terzultimi.


Immagine di copertina: Manfred Heyde, CC BY-SA 3.0 https://creativecommons.org/licenses/by-sa/3.0, via Wikimedia Commons

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