Uno dei temi più dibattuti all’interno del nostro ordinamento giuridico è quello della responsabilità oggettiva. In questo schema si colloca un fenomeno usuale e fisiologico nel sistema educativo passato e presente: l’abuso dei mezzi di correzione.
Il caso della maestra di Pavia
Un caso recente, svoltosi a Pavia, ha rievocato immagini che sembravano appartenere al passato: un’insegnante è stata accusata (e poi assolta) di abuso di mezzi di correzione per aver fatto indossare ad un suo alunno delle orecchie da asino.
In passato, scene come queste erano all’ordine del giorno: i maestri nelle scuole erano soliti rimproverare i propri alunni con modalità che spaziavano dal farli inginocchiare sui ceci al tirare loro le orecchie. Si trattava di vere e proprie punizioni corporali, definite dal Comitato dei diritti sull’infanzia come «punizioni per le quali viene utilizzata la forza fisica, allo scopo di infliggere un certo livello di dolore o di afflizione, non importa quanto lieve».
Il cambiamento nella sensibilità della società, ma soprattutto ricerche che hanno mostrato l’inefficienza di questi mezzi di disciplinari, idonei a danneggiare la salute fisica e psichica degli alunni, hanno portato alla abolizione di qualsiasi forma di punizione corporale nelle scuole italiane a partire dal 1971.
Nonostante ciò, sono ancora molti i sostenitori di queste pratiche e non pochi i casi che hanno ad oggetto proprio l’abuso di mezzi di correzione.
Abuso dei mezzi di correzione: articolo 571 c.p.
Il reato in questione è disciplinato dall’art 571 cp. che punisce ‘chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito, se dal fatto deriva il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente, con la reclusione fino a sei mesi.
Se dal fatto deriva una lesione personale, si applicano le pene stabilite negli articoli 582 e 583, ridotte a un terzo; se ne deriva la morte, si applica la reclusione da tre a otto anni’.
Questa norma prevede, dunque, l’ipotesi in cui un soggetto ecceda volontariamente nell’uso di mezzi correttivi o disciplinari. facendo insorgere il pericolo di una malattia nel corpo o nella mente nei confronti del soggetto sottoposto.
La disposizione configura un reato proprio: può essere infatti commesso soltanto da chi sia legato da un vincolo di autorità nei confronti di un soggetto passivo; e punisce non solo le punizioni corporali, ma anche le offese che possono arrecare un danno nella mente, ovvero un danno di natura psicologica. Ciò che caratterizza la norma è il suo presupposto ovvero l’utilizzo di mezzi di correzione di per sé leciti, il cui eccesso li renda illeciti. Ciò che è illecito, quindi, non è il fatto che l’insegnante punisca l’alunno, ma che nel farlo superi la soglia della liceità infliggendogli lesioni.
L’articolo 571 c.p. ha però dato vita a non pochi dibattiti in ragione della responsabilità oggettiva configurata nel secondo comma, ed è stato oggetto di recenti sentenze della Cassazione.
La responsabilità oggettiva, introdotta nel Codice penale del 1930, è un tipo di responsabilità giuridica in cui il soggetto è chiamato a rispondere del reato senza necessità di accertamento di dolo o colpa.
Dunque, fino a tempi recenti, era sufficiente che si verificasse una lesione personale o la morte per l’applicazione diretta dell’aggravante, senza assodare la sussistenza di dolo o colpa. Tuttavia, alla luce delle storiche sentenze della Corte Costituzionale del 1988, la norma è oggi da interpretare in armonia con il principio di colpevolezza ai sensi dell’articolo 27 della Costituzione: è necessario che, al momento del fatto, l’evento sia prevedibile e che vi sia, almeno, la colpa dell’agente.
L’ orientamento giurisprudenziale prevalente
In una recente sentenza del giugno 2022, la Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento giurisprudenziale prevalente secondo cui, ai fini dell’applicazione dell’articolo 571 c.p., occorre che la condotta perfezionata dall’educatore trovi la propria legittimazione, in astratto, nel sistema giuridico e, in secondo luogo, che vi sia un utilizzo errato della metodica, in ragione della arbitrarietà della sua applicazione o della sproporzione rispetto al bisogno educativo o disciplinare del soggetto passivo.
Autore: Sofia Gustapane