Il reato di violenza sessuale è oggi disciplinato dagli articoli 609-bis e seguenti del Codice penale e si colloca trai reati contro la persona, ma non è sempre stato così. Fino al 1966, infatti, la fattispecie era classificata come un delitto contro il buon costume, e l’attenzione del sistema giudiziario era focalizzata sul disonore arrecato alle famiglie piuttosto che sulle sofferenze subite dalla donna.
Nel corso della storia, e in particolare nella seconda metà del ‘900, molte donne si sono battute affinché venissero riconosciuti numerosi diritti alle ragazze delle successive generazioni.
ETA’ ANTICA
Nel Codice di Hammurabi, appartenente alla civiltà babilonese e risalente al 1750 a.C. circa, si trovano i primi riferimenti alla violenza sessuale. Dalle leggi del manoscritto appare profondamente radicata la concezione patriarcale della donna, che era prima proprietà della famiglia d’origine e poi del marito.
La mitologia e la letteratura dell’antica Grecia, invece, presentavano spesso il cosiddetto stupro di guerra, per cui le donne della popolazione sconfitta diventavano parte del bottino dei vincitori insieme alle altre ricchezze. Nella cultura ellenica, quindi, la figura della donna non era valorizzata e non ci si curava delle offese ad essa inflitte.
Il diritto romano prevedeva il reato di stuprum semplice e di stuprum violento: il primo consisteva in una unione sessuale al di fuori del matrimonio, con donne vergini o vedove di elevata classe sociale; il secondo, invece, aveva ad oggetto l’imposizione alla donna di un atto sessuale mediante l’uso della forza, ed era punita dalla Lex Iulia di Augusto con la pena di morte. Tuttavia, affinché l’atto potesse essere classificato come violento, era necessario che la donna provasse di aver opposto una resistenza fisica attiva, decisa e riconoscibile prima e durante la violenza.
Nonostante ciò rappresenti un passo in avanti nell’evoluzione del reato, l’attenzione della legge non era ancora posta sulle offese subite dalla vittima quanto sull’oltraggio arrecato agli uomini (padri, fratelli o mariti) che erano titolari della sua tutela.
ETA’ MEDIOEVALE E MODERNA
Per il Cristianesimo il rapporto sessuale era lecito solamente se finalizzato alla procreazione, altrimenti veniva considerato un’illecita espressione della libertà personale. Il termine stuprum continuava a descrivere qualsiasi atto sessuale consumato al di fuori del matrimonio con una donna di onesti costumi. Per evitare la sanzione prevista, il reo doveva accordarsi con la famiglia della ragazza per un matrimonio riparatore o il pagamento di un risarcimento. Questa regola del “o si sposi o si doti” si tramandò nel tempo, fino ad essere cristallizzata negli ordinamenti di molti Stati italiani preunitari. La ragazza, dopo aver subito la violenza, era dunque destinata al matrimonio riparatore oppure alla prostituzione.
Una serie di episodi storici testimoniano le torture a cui il sistema sottoponeva chi decideva di denunciare lo stupro subito: famoso è il caso della pittrice Artemisia Gentileschi, violentata da un amico del padre e, poi, costretta dai giudici del Regno Pontificio a sottoporsi ad una tortura che prevedeva il taglio dei pollici.
ETA’ CONTEMPORANEA
Il primo Codice penale italiano collocava i reati sessuali nella sezione dei delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie. Distingueva tra la fattispecie di violenza carnale (articolo 331) e quella dell’atto di libidine violento (articolo 333) a seconda che il rapporto fosse stato completo o meno. A differenza del passato, il Codice Zanardelli introdusse per la prima volta una graduazione della pena a seconda della gravità dell’offesa.
Nel 1930 entrò in vigore il successivo e attuale Codice Rocco, che prevedeva il concetto di “libertà sessuale” pur lasciando il reato di stupro tra i delitti contro la moralità pubblica e il buon costume.
A partire dal 1968, in tutto il mondo le donne hanno iniziato ad organizzarsi nel movimento femminista rivendicando un idoneo riconoscimento nella società. Grazie a figure coraggiose e tenaci, nel ventennio successivo, vi furono straordinarie conquiste raggiunte a livello giuridico: nel 1970 fu approvata la legge sul divorzio, nel 1975 fu abolita l’autorità maritale e riconosciuta la parità della figura femminile all’interno della famiglia. Inoltre, nel 1981 fu abrogato il matrimonio riparatore e nel 1996 finalmente il reato di violenza sessuale venne catalogato come delitto contro la persona.
Questo percorso è stato senza dubbio lungo e doloroso. Il famoso “Massacro del Circeo” del 1975 rappresenta un triste evento che ha sconvolto l’intero paese e ha convinto l’opinione pubblica a rompere il pregiudizio sociale che accompagnava da sempre i processi per violenza sessuale. Fino a quel momento, infatti, i procedimenti per stupro erano portati avanti più nei confronti delle vittime che degli imputati (se veniva realizzata una violenza, questa era considerata conseguenza di un atteggiamento sconveniente della ragazza).
Il caso vedeva tre ragazzi della “Roma bene” accusati di aver rapito e stuprato due ragazze e, poi, certi che entrambe fossero morte, di averle chiuse nel portabagagli della loro auto. Mentre Rosaria Lopez era morta, Donatella Colasanti aveva finto di esserlo e riuscì a scappare e a denunciare i ragazzi. La vicenda processuale è stata riportata nel documentario “Processo per stupro” e, più recentemente, nel film “La scuola cattolica” di Stefano Mordini.
AL GIORNO D’OGGI
Il cambiamento più importante in tempi recenti in tema di reato di violenza sessuale è stata la ratifica della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica del 2013. Quest’ultima qualifica la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione. Promuove, inoltre, un’armonizzazione delle legislazioni per colmare vuoti normativi a livello nazionale e facilitare la lotta alla violenza a livello internazionale.
Autore: Fernanda Panzar