Loading...
Arts & Culture

Classico infuso di graziose armonie

Reading time: 3 minutes

Di solito, quando ascolto musica classica, l’attività principale è fissare formule matematiche nel tentativo disperato di decifrarle con l’aiuto di qualche playlist “massima concentrazione”, trovata a caso su YouTube. Altre volte le melodie composte da qualche artista non ancora scoperto mi rincorrono per le strade di Milano, invitandomi a rallentare, e ad apprezzare i loro bisbigli.

Finalmente ho ceduto ai richiami, ed eccomi qui nella imponente Sala Verdi del Conservatorio di Musica “Giuseppe Verdi”, istituto dove Verdi stesso non è stato ammesso nel 1832, a 25 anni dalla fondazione. La sala vanta di una delle migliori acustiche d’Europa. Sono seduta in una posizione che nessun medico mai approverebbe, in uno dei 1420 posti minuscoli della gigantesca sala, ma la vista spettacolare sul palco fa scordare il dolore. A poco a poco escono i musicisti dell’Orchestra Mozart. Dopo qualche minuto, dedicato ad accordare gli strumenti, entra — accompagnato da un improvviso ma non inaspettato scoppio di applausi — Daniele Gatti, direttore dell’orchestra, nonché ex alunno del Conservatorio.

In programma abbiamo musiche di Beethoven, più precisamente tre sinfonie: la Quarta, la Quinta e la Sesta. Le prospettive sono le seguenti: 102 minuti di musica classica con due intervalli di 15 minuti ciascuno. Lo spettacolo di una delle più grandi orchestre che suonano le sinfonie del musicista più geniale di sempre, diretti da uno dei più celebri direttori italiani (e forse del mondo). Ciò nonostante, siamo in serata di un mercoledì davvero lungo, e l’idea di scappare sembra molto invitante, anche perché — tranne per la sedia scomoda — non ho niente contro il sonno. Meno male però che questa sia rimasta soltanto un’idea, in certi circoli considerata a dir poco vergognosa.

Related:  “Angeli caduti”: la memoria si fa materia 

A pochi minuti dai complotti interni sono completamente persa nelle allegre armonie della Quarta sinfonia in si bemolle maggiore, che fu composta nel 1806. Il continuo scambio di vari motivi nuovi e ripetitivi rendono questo brano stimolante, un vero piacere per gli ascoltatori che gradiscono sbalzi continui e sorprendenti. In alcune parti manca solo il cinguettio di un passerotto per renderlo un passaggio di un film Disney qualsiasi. Passa qualche istante e stiamo già assistendo all’assedio di un castello medioevale con lancie che sfrecciano mancandoci per centimetri, e presto arriva il montare al colpo finale drammatico per poi trasformarsi nella vittoria dei buoni. Torniamo al periodo di pace oscurato da un inquietante crescendo staccato che però diventa un esordio promettente del Rinascimento. Il viaggio nel tempo ha poche tappe in cui l’orchestra riposa e il pubblico inizia a tossire, come se avessero trattenuto i batteri temendo di interrompere la danza delle note saltellanti.

La Quinta sinfonia in do minore non ha bisogno di presentazioni. È strano venire a sapere che questo capolavoro non ebbe successo la sera del debutto del 1808. I primi quattro motivi che smascherano subito l’identità del pezzo sono stati descritti dallo stesso Beethoven come “il destino che bussa alla porta”. Che il destino sia attraente o meno rimane all’interpretazione personale, ma sicuramente il/la protagonista della storia non ne vuole sapere di accettarlo così come viene. Se bussa poi è un destino che o si avvera molto lentamente o non promette molto di positivo, altrimenti sarebbe un’esplosione di gioia intrattenibile da una semplice porta. Nella fila davanti a me vedo una signora particolarmente entusiasta già dal primo momento del concerto. La musica classica, e soprattutto le orchestre la appassionano, la rivestono di vita e della libertà di esprimersi. Assorbendo le note diventa la manifestazione visibile di quello che noi comuni mortali percepiamo solo in forma di suoni messi insieme nel modo giusto. Fa tanti di quei gesti teatrali che potrebbe essere lei sul palco a dirigere l’orchestra.

Related:  Musei: una guida galattica per autostoppisti

Dopo le avventure e la profezia chiudiamo con la parte in cui tutto sembra tornare al posto giusto. È il finale desiderato ma allo stesso tempo sorprendente, che lascia tutti sbalorditi e un po’ increduli, come se fosse troppo bello per essere vero. La Sesta sinfonia in fa maggiore, detta anche “Pastorale”, fu composta nel 1808. L’autore l’ha descritta dicendo: “Quanta gioia mi da il camminare tra gli arbusti, gli alberi, i boschi, l’erbe e le rocce. Per le rocce, gli alberi ed i boschi passano le risonanze di cui l’uomo ha bisogno.” Le melodie ci guidano per le serpentine di sentieri, facendoci sbucare in una radura soleggiata, lasciandoci in quello stato di eterno equilibrio che tanti sognano di raggiungere.

Sono pochi i periodi in cui ci si sente davvero tranquilli. Anche in quei rari momenti quando davvero non c’è niente per cui bisogna preoccuparsi, troviamo sempre qualcosa, è una dipendenza. La musica classica è uno dei migliori antidoti, ma occorre mollare tutto il resto ed accoglierla con le braccia spalancate ed il cuore aperto.

Author profile

I’m a second-year BAI student from Budapest. Being Italo-Hungarian I always found it challenging to define where I belong, in all the places I’ve been to I found a piece of home. Travelling and learning languages are my favourite hobbies, beside reading and writing. I have a deep passion for science and research.

Related:  Librerie d’autore
Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *